Secondo la Corte di Cassazione (Cass. n. 18853 del 2011)
Da questa affermazione, (richiamata da ultimo da Cass. n. 4470 del 2018, che puntualizza che i danni alla persona, come danni conseguenza, debbano essere specificamente allegati e provati, anche a mezzo di presunzioni), discendono alcune conseguenze.
La violazione dei doveri discendenti dal matrimonio rileva in primo luogo all’interno del rapporto matrimoniale stesso.
Anche nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono tali, e danno diritto alla protezione prevista dall’ordinamento, cosicchè la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità civile.
I doveri che derivano dal matrimonio non costituiscono però in capo a ciascun coniuge e nei confronti dell’altro coniuge automaticamente altrettanti diritti, costituzionalmente protetti, la cui violazione è di per sè fonte di responsabilità aquiliana per il contravventore, ma la violazione di essi può rilevare, oltre che in ambito familiare, come presupposto di fatto della responsabilità aquiliana, qualora ne discenda la violazione di diritti costituzionalmente protetti, che si elevi oltre la soglia della tollerabilità e possa essere in tal modo fonte di danno non patrimoniale.
La mera violazione dei doveri matrimoniali non integra quindi di per sè ed automaticamente una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 c.c. riconnette detta responsabilità, secondo i principi affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico.
Isolando, tra i vari doveri che derivano dal matrimonio, il dovere di fedeltà, ne discende che la violazione del dovere di fedeltà, sebbene possa indubbiamente essere causa di un dispiacere per l’altro coniuge, e possa provocare la disgregazione del nucleo familiare, non automaticamente è risarcibile, ma in quanto l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell’altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignità personale e all’onore, richiamati del resto nelle stesse prospettazioni del ricorrente.
La risarcibilità di tali violazioni, si è detto altresì, esula e prescinde dall’ambito dei rimedi endofamiliari, quindi da un lato la mera violazione di tale dovere, o anche l’addebito della separazione in conseguenza della violazione di tale dovere non sono automaticamente fonte di responsabilità aquiliana (v. Cass. n. 610 del 2012, che ha escluso il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in tesi connesso con l’infedeltà del coniuge cui la separazione per tale motivo era stata addebitata, in mancanza di prova della lesione dei diritti fondamentali e segnatamente dell’integrità psicofisica, e della conseguente ingiusta lesione di un suo diritto costituzionalmente protetto, ossia di circostanze atte ad integrare gli estremi dell’invocata tutela risarcitoria; v. anche Cass. n. 8862 del 2012), e per contro l’azione risarcitoria può essere promossa anche autonomamente ed a prescindere dal giudizio di addebito della responsabilità della separazione personale.
L’autonomia delle due forme di tutela non implica naturalmente una impermeabilità delle circostanze eventualmente accertate in un giudizio rispetto all’altro, nel senso che i fatti che vengono in considerazione all’interno del giudizio di separazione personale, possono essere gli stessi, per la loro offensività, a rilevare nel diverso giudizio risarcitorio.
Il bene tutelato è però diverso: nel primo caso, ad essere invocate sono le conseguenze giuridiche che l’ordinamento specificamente ricollega alla pronuncia di addebito (e che sono, per il coniuge a carico del quale venga presa, l’esclusione del diritto al mantenimento -con salvezza del solo credito alimentare, ove ne ricorrano i requisiti- e la perdita della qualità di erede riservatario e di erede legittimo, con salvezza del diritto ad un assegno vitalizio in caso di godimento degli alimenti al momento dell’apertura della successione – artt. 156, 548 e 585 c.c. -); nel secondo, invece, viene in rilievo il risarcimento del pregiudizio non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente garantiti.
Soprattutto, l’ordinamento non tutela il bene del mantenimento della integrità della vita familiare fino a prevedere che la sua violazione di per sè possa essere fonte di una responsabilità risarcitoria per dolo o colpa in capo a chi con la sua volontà contraria o comunque con il suo comportamento ponga fine o dia causa alla fine di tale legame. L’ammissione di una tale affermazione incondizionata di responsabilità potrebbe andare a confliggere con altri diritti costituzionalmente protetti, quali la libertà di autodeterminarsi ed anche la stessa libertà di porre fine al legame familiare, riconosciuta nel nostro ordinamento fin dal 1970.
Per contro, l’ordinamento protegge e sostiene dall’esterno il bene della vita familiare, con misure anche materiali a tutela del nucleo familiare e dei soggetti che fanno parte di tale essenziale formazione sociale.
Il dovere di fedeltà non trova il suo corrispondente quindi in un diritto alla fedeltà coniugale costituzionalmente protetto, piuttosto la sua violazione è sanzionabile civilmente quando, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignità personale, o eventualmente un pregiudizio alla salute.