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Danno parentale da perdita del congiunto

Quale deve essere la prova, da parte dei congiunti, del danno conseguenza della perdita del parente?
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 2776 in data 30/1/2024, ha ribadito che si tratta di un danno in re ipsa, cioè di un danno consistente nella mera lesione dell’interesse protetto, e nessuno dubita che la perdita del congiunto sia risarcibile nella misura in cui abbia prodotto delle conseguenze pregiudizievoli tra i parenti che agiscono in giudizio. La prova di tali conseguenze è ricavabile per presunzioni dallo stesso rapporto di parentela secondo un principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione (Cass. 22937/ 2022; negli stessi termini Cass. 9010/2022).
Difatti, l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, (in alcuni casi anche nei confronti del convivente o di persona legata da relazione stabile) a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del ” quantum debeatur ; in tal caso, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo» (Cass. n. 9010/2022). Pertanto, in caso di perdita di un congiunto, per fatto di un terzo, i parenti prossimi potranno limitarsi ad allegare la perdita, gravando sul terzo l’onere di dimostrare che la perdita non ha causato danni.
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