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La sospensione della riscossione e l’annullamento delle sanzioni in caso di illecito penalmente rilevante del professionista incaricato di versare le imposte

La L. n. 423 del 1995, art. 1, prevede la sospensione della riscossione per l’ipotesi che la violazione fiscale, formalmente riferibile al contribuente, consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, del professionista cui il contribuente aveva dato incarico di pagamento delle tasse, con una dettagliata disciplina che prevede l’annullamento delle sanzioni per l’ipotesi in cui con pronuncia penale definitiva sia riconosciuta la responsabilità del professionista.

Fattispecie differente è invece quella del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, che dispone invece più semplicemente che “Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi“.

Ai sensi della L. 423, art. unico, si individua pertanto una fattispecie cautelare, che prevede la sospensione della riscossione delle sanzioni per l’ipotesi in cui il professionista incaricato dal contribuente del versamento delle imposte si sia appropriato delle somme e non abbia provveduto al versamento.

Prevede poi l’annullamento delle sanzioni (con commutazione a carico del professionista) qualora il procedimento penale nei confronti del professionista si sia concluso con l’accertamento definitivo della sua responsabilità (o con provvedimenti analoghi, mentre, per l’ipotesi di definizione del processo penale ai sensi degli artt. 425 o 529 c.p.p., la sospensione non perde efficacia ma è necessario che il contribuente dimostri di aver promosso il giudizio civile entro tre mesi dal provvedimento penale).

E’ allora evidente che già per la fase cautelare della sospensione è comunque necessario che il contribuente dimostri, oltre che la denuncia presentata nei confronti del professionista infedele, anche che abbia versato a questi la provvista per il pagamento dei tributi.

Ai fini dell’annullamento delle sanzioni è invece necessaria la condanna definitiva (o i provvedimenti ritenuti equipollenti).

La giurisprudenza di legittimità, consapevole del pericolo di ingiustificata disparità di tutele tra la normativa ora esaminata e il D.Lgs. n. 472 cit., art. 6, ha affermato che la L. n. 423 cit., art. 1, il quale, in tema di violazioni delle leggi tributarie, prevede la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie (per omesso, insufficiente o ritardato versamento d’imposta) qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, di professionisti ivi indicati, va interpretato – al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento ed in coerenza con quanto previsto dal sopravvenuto D.Lgs. n. 472, art. 6 – nel senso che la non debenza delle anzidette soprattasse e pene pecuniarie non è subordinata al rispetto degli adempimenti procedurali (istanza di sospensione da parte del contribuente, denuncia del reato all’autorità giudiziaria, ecc.) previsti dalla medesima menzionata L. n. 423 del 1995, e che le condizioni obiettive richiamate dalla legge stessa possono essere fatte valere anche in sede di impugnazione dell’atto impositivo, o chiedendo la restituzione di quanto già versato, e fornendo la prova della sussistenza delle anzidette circostanze direttamente in sede di giudizio tributario (Cass., sent. n. 17578/2002; 26850/2007; 14026/2009).

L’unico limite che pone la giurisprudenza di legittimità è che sia chiesto l’annullamento delle sanzioni anche nella fase cautelare di sospensione della riscossione, (se attivata) non potendosi chiedere l’annullamento delle sanzioni, a seguito del ricevimento di una cartella esattoriale, qualora fosse stata chiesta solo la sospensione della riscossione nella fase cautelare (Corte di Cassazione 23/1/2019 n. 1759).

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