
L’articolo 120 del codice della strada stabilisce, tra l’altro che “non possono conseguire la patente di guida (…) le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 ( Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza ) fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi (…)” e che ” (…) se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida (…)”.
In siffatto quadro fattuale-normativo è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 22/2018 del 22.01.2018, depositata li 09.02.2018, dichiarando la illegittimità costituzionale, per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dall’art. 3, comma 52, lett. a), della legge 15 luglio 2009 n. 94 ( Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per i reati di cui agli arti 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – dispone che il prefetto “provvede ” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente.
E’ stata, pertanto, ritenuta fondata e meritevole di accoglimento la questione sollevata dal Tribunale di Genova con ordinanza n. 210/2016 che aveva denunciato la disposizione di cui all’art. 120 comma 2, C.d.S. ai sensi del quale, nel caso i requisiti morali per ottenere l’abilitazione alla guida venissero meno per via di una condanna attinente alla detenzione ed al commercio di stupefacenti, il prefetto doveva provvedere alla revoca della patente di guida senza alcun potere discrezionale di valutazione della fattispecie concreta di reato e della personalità del soggetto condannato.
Secondo la Corte Costituzionale la violazione dei principi di cui all’art. 3 Cost. si riscontra nell’art. 120 comma 2, C.d.S. laddove la norma ricollega in via automatica il medesimo effetto – la revoca del titolo di guida – alla sopravvenienza di una condanna penale per i reati di cui agli artt. 73 e 74 T.U. sugli stupefacenti, le cui disposizioni, tuttavia, comprendono una varietà di fattispecie, potendo riguardare reati di diversa natura ed entità, anche alla luce delle modifiche introdotte con D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito in L. 10/2014, che hanno reso fattispecie autonoma di reato l’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990.
I giudici della Consulta si premurano di escludere in radice la qualifica di “sanzione penale” del provvedimento prefettizio affermando che “la revoca della patente, nei casi previsti dall’articolo 120 in esame, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell’insussistenza (sopravvenuta) dei “requisiti morali” prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione”.
Il primo profilo di irragionevolezza della norma censurata risiede – ad avviso della Corte Costituzionale – nel fatto che l’applicazione automatica della revoca della patente di guida prescinde da qualsiasi valutazione delle circostanze del caso concreto e, soprattutto, dall’eventuale distanza temporale del provvedimento del prefetto rispetto ai fatti ai quali si riferisce la sentenza di condanna per i reati in tema di stupefacenti: “la disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità , atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve entità. Reati che, per di più, possono essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida”.
Ulteriore profilo di contrasto con l’art. 3 Cost., come già evidenziato dal rimettente Tribunale genovese, deriva, per il Giudice delle leggi, dal raffronto con l’art. 85 del T.U. sugli stupefacenti, in forza del quale il giudice penale che pronuncia sentenza di condanna per i reati in questione “può disporre” la parallela misura del ritiro della patente di guida.
L’accoglimento di tale censura, peraltro, non si basa sul fatto che, a seguito dell’intervenuta condanna, il prefetto debba disporre la revoca anche ove il giudice penale decida di non irrogare la sanzione penale accessoria del ritiro della patente ( attesa l’accertata natura non sanzionatoria del provvedimento prefettizio), bensì sulla constatazione che, a fronte del medesimo presupposto ( condanna per i reati in tema di stupefacenti, il fatto-reato è lo stesso) e delle affinità, sul piano pratico, delle due diverse misure ( incidendo entrambe negativamente sulla titolarità della patente), “mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne la revoca”.
In conclusione, in caso di condanna per reati legati agli stupefacenti, il Prefetto non può provvedere in via automatica alla revoca della patente, ma deve valutare il caso concreto e motivare adeguatamente il provvedimento.