
La consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito, a partire dagli anni novanta, ha gradualmente fatto confluire tutte le fattispecie di responsabilità sanitaria nell’ambito della responsabilità contrattuale, con la conseguenza dell’applicazione dei correlativi regimi della ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, tipici delle obbligazioni da contratto d’opera professionale, quanto alla struttura sanitaria, ravvisando la fonte di tale tipo di responsabilità nella conclusione, al momento della “accettazione” del paziente nella struttura, di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità avente ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere sanitario che prestazioni secondarie ed accessorie quali quelle assistenziali e lato sensu alberghiere.
Si tratta, in particolare: a) di un contratto atipico, con effetti protettivi nei confronti del terzo, che fa sorgere a carico della casa di cura privata o dell’ente ospedaliero pubblico, accanto ad obblighi lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, di quello paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni; b) di un contratto a prestazioni corrispettive in quanto fa sorgere anche l’obbligazione di versare il corrispettivo per la prestazione resa dalla struttura sanitaria (pubblica o privata), restando irrilevante che questa obbligazione sia estinta dal paziente, dal suo assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente.
La responsabilità dell’ente ha, così, assunto carattere contrattuale in relazione sia a fatti di inadempimento propri della struttura che alle condotte dei medici dipendenti, in applicazione dell’art. 1228 c.c. sulla responsabilità del debitore per fatti dolosi o colposi degli ausiliari.
Tale inquadramento giuridico non viene meno neanche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 189 del 2012, c.d. legge Balduzzi, e della recentissima legge di riforma della responsabilità sanitaria, L. n. 24 del 8 marzo 2017 (quest’ultima afferma che i sanitari rispondono del loro operato in base all’art. 2043 c.c. a meno che non abbiano agito nell’adempimento di una obbligazione direttamente assunta con il paziente).
Ciò posto, va ribadito che trattasi di responsabilità professionale per la quale la giurisprudenza è ormai pacifica nel ritenere che, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare il contratto o contatto sociale e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Dopo aver riscontrato l’esistenza di un nesso eziologico deve essere affrontato il tema della esistenza della colpa.
E’ necessario preliminarmente, dunque, secondo i principi generali di cui all’art. 2697 cod. civ., che il paziente dimostri il nesso di causalità tra l’evento lesivo della sua salute e la condotta del medico, dovendosi dimostrare che il peggioramento delle condizioni di salute è connesso causalmente al comportamento del medico
Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità civile, per l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica.
Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne risulti conseguenza “altamente probabile e verosimile”, secondo la regola del “più probabile che non” o della “preponderanza dell’evidenza”, da ritenersi criterio di giudizio non sovrapponibile a quello penalistico dell’”oltre ogni ragionevole dubbio” (cfr. sul punto Cass. 26 giugno 2007, n. 14759 e Cass. 11 maggio 2009, n. 10745).
Ne deriva che, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, essendo quest’ultimo tenuto a espletare l’attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l’omissione di tale attività diligente e l’imperizia, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso (Cass. civ. n. 16123/2010).
Ciò posto, provata la sussistenza del nesso causale, in base alla presunzione relativa alla imputabilità per colpa (negligenza o imperizia professionale) di tale omissione al convenuto- professionista sanitario, sarà quest’ultimo, a dover provare, al fine di vincere tale presunzione semplice, la correttezza delle modalità diagnostiche e terapeutiche seguite, ossia della non imputabilità a colpa dell’inadempimento (omissione diagnostica o terapeutica) o, ancora, della insussistenza della omissione addebitata (effettuazione di ogni azione, manovra o prescrizione, in concreto e data la situazione del paziente e le emergenze cliniche disponibili e accertabili con la ordinaria diligenza del professionista appartenente alla categoria).